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della pittrice Flavia VIZZARI



 
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Laurea Honoris Causa ad Alda Merini

Ultimo Aggiornamento: 28/10/2007 07:19
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Alda Merini Laureata a Messina

via che le facciamo le cose buone. C'era Alda Merini, stamane a Messina laureata nella nostra università. Chi scrive ha una sua corrispondenza d'amorosi sensi con la poesia, ed era emozinata a vederla. Tutti eravamo emozionati. Ha avuto un lungo e sentitissimo applauso da ciascuno. Poi stanca, mi disse nel corridoio che voleva riposare.
Alda è stata la donna e la madre, e l'individuo solo, al contempo, senza nessuno. Come può essere chi cerca un confine preciso, matematico, ove ogni cosa è quella e sta in un posto in cui null'altro può stare non per superbia ma per ordine cosmico. Il tradimento dell'ordine relativo è il tradimento dell'ordine globale , ed essere poeti non vuole mai dire essere confusi, ma stare ad aspettare la ricomposizione. Invocarla, attenderla ostinatamente con la pelle e le ossa, fino ad ogni risoluzione . Aspettare che l'ordine torni. L'ordine non sarà mai quello dell'occasione, ma l'ordine primordiale dell'atto d'amore conosciuto primariamente. Quello genitoriale di sicuro. Socrate e Platone non erano così piccoli da non andare avanti, ma sentivano più forte d'ogni cosa il parto, la cura della crescita, l'educare come allevare. Capita però che la madre per educare debba a sua volta sentire tante e troppe voci del mondo e i figli credano che non sia là dove dovrebbe essere , nel fisso pensiero del proprio frutto, e una donna che sente troppo non possa starsi lontana, chè ha come dovere di sentire e tramandare ad ogni frutto del mondo ciò che è capace di dare, la piccola forza da donare alle fatiche degli altri.Forse lei ha sentito il peso del troppo sentire, e la fatica di distribuirlo, senza lasciare troppi orfani in campo.
Forse l'amore che l'attanaglia alla sofferenza senza sfumature e senza conforti è il contrappeso che ha affaticato l'anima della Merini, e perchè non anche di molte donne....quella coscienza di stare vivendo un cosa propria che la sua stessa fine rinnega? Tempo addietro un altro scrittore, giovane, disse a chi gli chiese perchè l'amore lo atterriva, che ha paura folle della separazione. La separazione dopo l'amore, difatti, è una morte. Sai che muori, ed è certo, ma non è certo che si abbia la forza della resurrezione. Questa è una forza che non possiamo prevedere o costruire, è più feroce della morte, perchè ti acclama ogni forza quando essa non c'è. E' un paradosso ed un agguato morale imponderabile.


Caterina Papalia



16/10/2007


www.revestito.it/?id1=19&id2=1&Tipo=1&id3=8851
[Modificato da Artevizzari 27/10/2007 18:07]




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.....in occasione della Laurea Honoris causa assegnata a Messina....





La Delfa, io, Velardi e la Merini.....


Messina 16 Ottobre, 2007




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Alda Merini a Messina

di Saverio Vasta

www.barcellonapg.it/rubriche/leggoeconsidero.html

Divertita e spazientita, orgogliosa e a tratti annoiata, Alda Merini si è concessa martedì scorso alla curiosità di giornalisti, docenti, studenti ed estimatori in occasione della giornata dedicatale dall’Università degli Studi di Messina che le ha conferito la laurea magistrale honoris causa in “Teorie della comunicazione e dei linguaggi”, corso di laurea della Facoltà di Scienze della Formazione. Dopo la cerimonia della mattina, in cui è stata insignita dello stesso titolo Maria Criscuolo, imprenditrice nel settore della comunicazione, la Merini è tornata all’Università nel pomeriggio, questa volta nell’aula magna del Rettorato, dove si è svolto un incontro-intervista con il prof. Andrea Velardi, arricchito della preziosa partecipazione dei fratelli Mancuso, che hanno interpretato in musica alcune poesie della Merini (Timor di tua morte, La rosa del bel canto, Abbi pietà di me).

La poetessa, che ha appena dato alle stampe il suo nuovo libro “Francesco. Canto di una creatura” (Frassinelli, 2007), ha scherzato con il suo interlocutore, reo di averla condotta fino a Messina, mentre alcuni amici, tra cui Vincenzo Mollica (a cui ha detto prima di partire «saresti stato il muro migliore per difendermi dal mito»), l’avevano sconsigliata di affrontare il viaggio suggerendole di chiedere che la pergamena le venisse recapitata a casa. «Per una che ha vissuto quindici anni in manicomio e da quattro anni non lascia la propria casa, pensate cosa significhi prendere l’aereo due volte in un giorno: vuol dire rischiare la vita» ha detto tra il serio e il faceto la Merini al numeroso pubblico. La lunga vicenda del manicomio ritorna inevitabilmente più di una volta nella vivace e colorita conversazione con Velardi. «Spogliata della penna, della carta, del pianoforte, senza poter fare l’amore: si vive in una condizione così innaturale che non si riesce neppure a ribellarsi. Ora dicono: la Merini scrive sui muri. Certo, ho imparato a scrivere sui muri. E ho stabilito un dialogo con il divino». Circondata da grande affetto e attenzioni, la Merini non dimentica gli anni bui, «quando non ero nessuno, e nessuno mi prendeva e mi riaccompagnava come accade in questi giorni perché vivevo nella totale indifferenza». Ironizza con quanti hanno legato a doppio filo poesia e malattia. «Non è ciò che è logico, ciò che è lineare a spronare la conoscenza. Sono le cose illogiche, irrazionali che spingono a cercare a fondo ciò che vorremmo sapere. Così è per la poesia». Racconta, la Merini, ma non ha voglia di tirare fuori tutto quello che le appartiene: i ricordi belli, quelli brutti, le ferite profonde inflitte alla sua anima dalle «torture» insensate dell’internamento. «Noi anziani, ridotti come siamo a posacenere di ricordi, siamo a volte circondati dalla curiosità e dall’attenzione di tanti giovani. Ma il poeta non vuole farsi vedere fino in fondo, nasconde magari alcune cose belle del passato perché ne è geloso o comunque perchè non ha voglia di raccontarle». La Merini ricorda la sua amicizia con Maurizio Costanzo: «mi ha riabilitato al rango di “signora” dal numero fisso a cui ero abituata in manicomio; mi ha circondato di affetto e di delicatezze. Mi ha dato una inevitabile notorietà, senza forzarmi e senza usarmi». La tv di oggi fa paura («Liberateci da Maria De Filippi e dalla televisione che non fa che esibire i sentimenti») ma il poeta non deve temerla: «Non è dalla tv che si impara la poesia, e la poesia non si può copiare». Dalle curiosità legate ad alcune poesie (“Il gobbo” è ispirata a un personaggio che la Merini vedeva passare un po’ incurvato e goffo ogni mattina davanti casa e che soltanto in seguito ha scoperto essere il presidente di Mediobanca Enrico Cuccia…), si passa al ricordo dei suoi uomini e dei suoi amori. L’amore tenero e onesto di quindicenne per «il genio, la grazia, la bruttezza di Manganelli» e la moralità di quest’ultimo, che pure era sposato. Un amore impossibile e incompreso eppure assai fervido, fonte per entrambi di grande ispirazione poetica eppure destinato a «finire in una follia di dolore». Un amore che «fece spavento alla società benpensante e al mondo letterario, narcisista e pieno di bassezze; e così spezzarono due vite spirituali». Del primo marito, Ettore Carniti, che la fece rinchiudere in matrimonio dice «per me è sacro: mi ha dato quattro splendidi figli». Di Quasimodo, che la inserì nella sua antologia di poeti, la Merini ricorda il corteggiamento e il grande insegnamento. L’origine della poesia resta per la Merini ignota e misteriosa: «sono intuizioni, aneliti che il poeta non sa spiegare. Certo, l’ambiente familiare può far sì che queste doti si coltivino e non si perdano. Io ho avuto una splendida famiglia, molto serena. E questo è molto importante». Per comprendere come una ragazzina quindicenne, respinta in italiano a scuola, scriveva per l’adulto Manganelli alcuni tra i suoi versi più belli e «scandalosi».

22 ottobre 2007


[SM=x1332479] [SM=x1332479] I miei complimenti a Saverio Vasta che ha riportato benissimo quanto vissuto nell'Aula Magna della nostra Università in compagnia della Merini.....




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